Tu sei qui: CronacaL'ultimo straziante saluto a Marco
Inserito da (admin), lunedì 14 luglio 2008 00:00:00
In centinaia hanno dato l'addio, ieri mattina, a Marco Bisogno, il ragazzo di 22 anni schiantatosi venerdì sera in via Salvo D'Acquisto contro un'auto in sosta per evitare un ragazzino che stava attraversando la strada. Molti erano giovanissimi. Alle 9 un cielo plumbeo, insolito per questa stagione, ha accompagnato il corteo funebre che dalla casa di Via Sala ha raggiunto la chiesa di San Francesco. I genitori di Marco, Sabatino Bisogno, titolare di un negozio a San Giuseppe al Pozzo, e la mamma Raffaela Gaeta, hanno voluto che a celebrare i funerali fossero i padri francescani.
La chiesa, gremita, è diventata improvvisamente piccola, troppo piccola per accogliere tutti coloro che hanno deciso di partecipare al rito funebre. Molto scosse le sorelle di Marco e la fidanzata: erano legati ormai da 6 anni ed avevano programmato di sposarsi. A Cava sono ancora tutti sotto choc per quanto accaduto. E dopo la sepoltura del giovane, resta soltanto la rabbia per una morte assurda e per l'ennesima vita spezzata dalla "strada".
Chiara ormai la dinamica. Venerdì sera Marco era alla guida della Kawasaki 650 del padre e stava percorrendo via Salvo D'Acquisto, in direzione di San Martino. Sono da poco trascorse le 21 ed a quell'ora ci sono molti passanti. All'altezza dell'incrocio, a pochi passi da un negozio di macelleria, Marco vede (forse in ritardo) che qualcuno sta attraversando la strada: si tratta di un ragazzino, cerca di schivarlo. Ci riesce, ma perde il controllo della moto: la Kawasaki prima sfiora l'asfalto e poi si schianta contro un'auto parcheggiata in sosta. L'impatto è violento perché la moto correva. Marco resta accasciato al suolo, schiacciato dalla sua stessa moto. Inutili gli interventi del medico del 118 e degli operatori della Croce Bianca che lo assistono subito e lo trasferiscono immediatamente in ospedale, ma Marco non ce la fa.
Il Mattino
La banale motivazione per una giovane vita spezzata
Riceviamo e pubblichiamo l'amara riflessione di chi, presente sul luogo dell'incidente, l'indomani ha ascoltato i soliti, forse troppo semplicistici, commenti: la velocità come banale motivazione per una giovane vita spezzata. Leggiamo insieme:
Sono stato tra i primissimi a trovarmi verso le 20.45 di venerdì sera in via S. D'Acquisto sul posto dove è avvenuto l'incidente mortale per Marco Bisogno. Sono stato io a controllare le generalità del ragazzo, a vedere la carta d'identità ed a scoprire la sua tenera età (1986, addirittura dicembre se non ricordo male), a vedere la foto piccola della fidanzata inserita nella parte plastificata del documento di identità, a vederlo perdere sangue dal naso e dalla bocca. Brutta scena. Momenti ancora più tremendi alla notizia del decesso del ragazzo, avvenuto di lì a poco. Genitori straziati, amici disperati, città sconvolta.
Vi scrivo, però, perché, accanto al dolore sincero di coloro che lo volevano bene, mi ha infastidito notare l'indomani quanta ipocrisia, quanto falso moralismo ci sia a Cava. Sabato mattina, infatti, nei bar, per la strada, nei negozi, il commento, o meglio la sentenza più diffusa, era (detta sottovoce!): «Ma chill fuiev (ma quello correva)!», quasi a dire: «Correva, se l'è cercata!». Chi diceva 80 km/h, chi 100 km/h, chi 120 km/h, chi diceva addirittura stesse impennando, quel che è certo è che il ragazzo correva come il pazzo e quindi abbia sbandato per evitare il ragazzino che attraversava la strada.
E nulla conta che quel ragazzo lavorava e che quella moto da poco comprata era il frutto di tanti sacrifici, desideri, aspirazioni, passioni. Nulla conta l'essere giovane, l'ebbrezza della velocità, la sensazione di libertà, di evasione, di spensieratezza e sì anche di un po' di follia, che tutti hanno provato a quell'età, anche la generazione dei nostri padri e dei nostri nonni (con altri modi, con altri mezzi, con altre tecnologie, ma sicuramente con gli stessi fini). Io penso che se il ragazzo non fosse morto, e nella peggiore delle ipotesi fosse rimasto paralizzato sulla carrozzella, avrebbe avuto una grande lezione di vita, avrebbe capito tante cose, ma sicuramente non avrebbe avuto bisogno di persone che gli ripetessero: «E, ma tu fuiv!».
Davide Fioraso
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