Tu sei qui: CronacaDramma casa, il Comune impotente
Inserito da (admin), venerdì 10 giugno 2005 00:00:00
«Sono vicino alla signora, ma con il cuore in mano e le lacrime agli occhi non posso che dire che c'è ben poco da fare»: ha usato parole di conforto, cadenzate da precisazioni meno rassicuranti, il sindaco Alfredo Messina, chiamato ad intervenire sulla storia di Rosa Bisogno, la donna di 64 anni che ha tentato il gesto estremo, dopo lo sfratto dal suo appartamento in via Sala. «L'emergenza case a Cava, data la sua densità abitativa, dura da 30 anni. Basti pensare - spiega Messina - che circa 8mila cavesi abitano nei Comuni limitrofi, come Nocera Superiore, ed il motivo non è certo perché a Cava si vive male. Secondo il Piano urbanistico regionale, non è consentito fare neppure un buco. La legge 35 dell'87 stabilisce che in città ci sono 53mila abitanti e 54mila vani. Quando si verificano casi come quelli della signora, con la procedura di sfratto esecutivo, il Comune non può fare molto». L'emergenza case rischia, così, di trovarsi di fronte ad un vicolo cieco: blocco delle nuove costruzioni, nessuna proprietà comunale da concedere in affitto, poche case disponibili e prezzi dei fitti alle stelle. «L'unica cosa che possiamo fare, e che stiamo facendo, è realizzare i 400 alloggi per le 400 famiglie che vivono ancora nelle baraccopoli con il problema amianto». Il sindaco, però, lascia aperto uno spiraglio. Una legge approvata il mese scorso dà al Comune la possibilità di erogare alle famiglie meno abbienti un contributo integrativo del contratto di locazione stipulato con un privato. «Abbiamo le mani legate. Da quando sono diventato sindaco, ogni mattina sull'uscio della mia stanza si presentano giovani in cerca di lavoro e donne che chiedono la casa. E' come chiedere la luna nel pozzo. Ci si stringe il cuore, ma purtroppo non abbiamo la bacchetta magica». Nessuna lampada d'Aladino, ma diverse le opportunità che un Comune come Cava potrebbe e dovrebbe mettere a disposizione delle fasce cosiddette deboli, che vedono in questi ultimi anni ingrossare le proprie fila con l'ampliamento della categoria dei "nuovi poveri". Famiglie che per fatti contingenti, come la perdita di lavoro o la conclusione di lavoro a termine, si trovano sul lastrico. Nel giro di un paio di anni in città si sono registrati diversi casi di donne e giovani che, in preda alla disperazione, hanno deciso di farla finita, tentando un gesto estremo. E' la storia del giovane incatenato al Poliambulatorio di via Gramsci. La madre invalida era stata privata dell'erogazione gratuita dei presidi sanitari. Simile la storia di un altro ragazzo, che minacciò di darsi fuoco davanti al Palazzo di Città per sostenere la madre, anche lei invalida e costretta su una sedia a rotelle. Lo scorso anno l'81enne Carmela Scognamiglio iniziò lo sciopero della fame perché non voleva lasciare la casa dove aveva abitato da più di 40 anni. Case ed appartamenti a parte, sicuramente non mancano le alternative per alleviare le sofferenze di chi non riesce ad arrivare alla fine del mese. «Non conosco personalmente il caso della signora - spiega l'assessore ai Servizi sociali, Alessandro Schillaci - perché sono tante le persone che si rivolgono ai nostri uffici. Ciò non toglie che abbiamo ben presente i risvolti sociali, oltre che economici, di queste storie. Sono in attesa di una relazione dai funzionari dei Servizi sociali. Ho già appreso da loro che il caso della signora viene seguito già da tempo. La donna usufruisce, tra l'altro, dell'assistenza domiciliare integrata e di altri benefici previsti dalla legge».
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