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Cronaca

«Una storia emblematica»

Inserito da (admin), mercoledì 9 gennaio 2013 00:00:00

Quella dell’ospedale di Cava de’ Tirreni è una storia per molti aspetti emblematica di come una comunità ripiegata in se stessa possa raggiungere livelli estremi di autolesionismo. Ed è, nel contempo, una vicenda che riassume bene il declino storico della cittadina metelliana.

È per lo meno dalla fine degli anni Novanta che, a fasi alterne, qualcuno tira in ballo il “Santa Maria Incoronata dell’Olmo”, uno dei nosocomi più antichi d’Italia, per lanciare l’allarme sul rischio chiusura o per annunciarne l’imminente chiusura. A Cava la cosa è vissuta dalla gente non solo come la perdita di un servizio, ma anche come la certificazione finale della perdita di ruolo della cittadina metelliana nel contesto territoriale. Quanti servizi direzionali sono andati persi nell’ultimo trentennio! Dalla stazione delle Ferrovie dello Stato, che una volta era servita dai treni a lunga percorrenza e che oggi a stento lo è da malconci convogli locali, all’Azienda di Soggiorno e Turismo, alla banca locale per antonomasia, il Credito Commerciale Tirreno, ad altri importanti strutture, quelle che fanno di una città un luogo erogatore di servizi direzionali per il territorio circostante. La spending review ci sta mettendo il resto, con l’annunciata chiusura del tribunale. Ecco: la chiusura dell’ospedale è vissuta come la conclusione di una lunga, felice stagione per la Valle Metelliana e la definitiva presa atto del suo status attuale, di periferia dell’Agro nocerino-sarnese. La città ancora si ribella a questo destino, che qualcuno vorrebbe irreversibile.

Tutti i sindaci che si sono succeduti dagli anni Novanta ad oggi hanno dovuto misurarsi con questo problema. In particolare quanti, come me e l’attuale primo cittadino, hanno dovuto gestire il problema nel contesto di una drammatica crisi della finanza sanitaria regionale. Io mi ci imbattei da subito, già dalla campagna elettorale del 2006. Mi impegnai con tutte le forze a difendere il nosocomio cavense, inserendo peraltro tale difesa nel contesto di un disegno strategico che avrebbe potuto restituire a Cava, città cerniera, un ruolo strategico e direzionale su ampia scala. Mi trovavo a rivestire, tra il 2006 ed il 2008, il ruolo di Presidente della Conferenza dei Sindaci della ASL, non per meriti miei, ma perché sindaco della città più densamente popolata del territorio servito dall’allora ASL SA1. Un incarico poco più che simbolico, ma che cercai di caricare di rappresentatività, facendone un baluardo contro la logica dei tagli.

C’erano, nell’ambito della ASL SA1, 6 nosocomi: Scafati, Pagani, Nocera Inferiore, Sarno, Cava e Castiglione di Ravello. Il governo centrale premeva sulla Regione e la Regione lo faceva verso l’ASL, perché l’offerta fosse ridimensionata. Non la faccio lunga: per tutto il 2008, in tutte le sedi ed i luoghi istituzionali, mi battei per addivenire ad una soluzione equilibrata, che tenesse in piedi i 6 plessi ospedalieri, differenziandone le funzioni e, soprattutto, abbattendone gli sprechi. Già, abbattendone gli sprechi. E qua emersero i primi problemi; quello che ad un cittadino normale appare uno spreco, e difatti lo è, diventa reddito nelle tasche del suo beneficiario. Abbattere gli sprechi, tagliare le spese superflue, significa colpire degli interessi. La corporazione medica e qualche sindacalista cominciarono a mormorare.

Novembre 2008, ero a Venezia per presentare i progetti urbanistici della città di Cava ad Urban Italia. A Salerno, presso Palazzo Sant’Agostino, si riuniscono parlamentari, consiglieri regionali, amministratori locali di ogni parte politica. In Consiglio regionale era in discussione la nuova legge di riordino del sistema ospedaliero campano, quella che sarebbe diventata la Legge 16 regionale del dicembre 2008. Il mio delegato mi chiama: “Abbiamo salvato il nostro ospedale”. Come? Chiedo speranzoso. “Diventerà una struttura specializzata per la geriatria” fu la risposta. L’ospedale di Cava sarebbe diventato un ospizio per lungodegenti. Erano tutti d’accordo, in particolare e comprensibilmente gli amministratori del Comune di Scafati. Il loro nosocomio, senz’altro peggio messo del nostro, si salvava a discapito di Cava. Alla destra cavese stava bene, Scafati era da poco amministrata dal centro destra, mentre a Cava il sindaco del centro sinistra sarebbe stato messo in difficoltà da quella sciagurata decisione.

Feci immediato ritorno a Cava, ruppi con amici e compagni di parte politica da lungo tempo che avevano avallato quella decisione. Mi precipitai alla Regione e, con l’aiuto dell’on.le Antonio Cuomo, parlai con l’assessore Montemarano. Fui molto energico, riuscii ad aggiustare il tiro. La legge 16 regionale, nella sua versione definitiva, assegnava a Cava tutti i reparti preesistenti, 122 posti letto, la rianimazione ed il Pronto Soccorso. A Scafati andavano 100 posti letto e la destinazione geriatrica. Giustamente l’amministrazione di Scafati mise in discussione il mio ruolo di Presidente della Conferenza dei Sindaci. Era più che comprensibile.

Non lo fu invece quanto accadde a Cava nei giorni successivi. Inopinatamente partì una raccolta di firme con la quale mi si chiedeva di ricorrere al TAR contro la Legge 16 regionale, mi si invitava contestualmente a dimettermi da Presidente della Conferenza dei Sindaci e si denunciava il fatto che io NON avessi difeso l’ospedale di Cava, che, a dire dei propagandisti d’occasione, avrebbe chiuso di lì a poche settimane. La più colossale campagna di diffusione di falsità alla quale io, da sindaco, abbia assistito. Protagonista principale di tale campagna fu una Associazione degli Operatori Sanitari di Cava e Vietri. Il suo presidente, ho scoperto più tardi, era ed è titolare di un Centro medico polispecialistico privato.

Ci furono dei Consigli Comunali monotematici per chiarire il contesto; i consiglieri di opposizione di destra, che in piazza contestavano la mia presunta inerzia nel difendere l’ospedale di Cava, fecero combutta con assessori e consiglieri comunali di Scafati, venuti in trasferta a dare manforte ai cavesi pronti a vendere la loro città pur di far cadere il sindaco di centro sinistra! Una parte della sinistra si accodò a questa campagna, tanto denigratoria nei miei confronti, quanto dannosa per la città. In ambito medico, salvo poche, coraggiose testimonianze di medici territoriali - ricordo tra tutte quella del dr. Mimmo Viggiano, allora consigliere comunale di maggioranza - solo un complice silenzio.

La campagna elettorale della primavera del 2009 per le provinciali, quella in cui sarebbe risultato eletto l’aspirante principe d’Arechi, fu giocata in gran parte su questo falso colossale. Il nosocomio tuttavia era ancora lì, salvo ed operativo in tutti i suoi reparti. Inizi 2010: campagna elettorale per il Comune, perdo. Non se lo aspettavano. La virtuosa filiera di destra mi aveva già preparato il primo piattino, la chiusura dell’ospedale con il carico di falsità parallele per attribuirne la colpa a me. Il nuovo sindaco venne preso alla sprovvista. Inscenò una pantomima, si legò davanti alla Regione per “salvare” l’ospedale. Il leader regionale del centro destra, neo eletto a Palazzo Santa Lucia, non voleva riceverlo...

Nuova puntata, trovato il coniglio nel cappello. Togliamo l’ospedale di Cava all’ASL ed aggreghiamolo all’azienda ospedaliera universitaria in via di costituzione, si dicono. Evviva evviva. Grazie Galdi, grazie Cirielli, la mitica associazione degli operatori sanitari di Cava e Vietri si affretta a tappezzare le mura di Cava con manifesti encomiastici verso la virtuosa filiera della destra che aveva salvato l’Ospedale. Sono passati due anni, il “Santa Maria Incoronata dell’Olmo” è in coma. Non era stato salvato, è ovvio. E cosa fa l’ineffabile associazione di cui sopra? Riempie di nuovo Cava di manifesti, questa volta per chiedere con forza che l’ospedale di Cava torni alla ASL!

Luigi Gravagnuolo

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