Economia e TurismoDe Canio e quel senso di precarietà

De Canio e quel senso di precarietà

Inserito da Il Mattino (admin), mercoledì 19 settembre 2001 00:00:00

Non si capisce bene se quella smorfia che De Canio porta disegnata sulla faccia sia più di rabbia o di rassegnazione. Di rabbia, forse. E, forse, anche un po' smorfia di disperazione, visto che da quando ha messo piede in casa azzurra è accaduto e gli è accaduto di tutto ed anche di più. Mancava solo il «castigo» di quel fiume in piena che al Napoli ha portato via anche la «casa»! Mancava. Perché ora è arrivato pure quello. «San Paolo quasi vuoto, sì, ma sempre nostro», questo il concetto di De Canio (nella foto). «E già per questo - dice l'allenatore - gli avversari erano costretti ad un pedaggio. Se avevamo un piccolo vantaggio, ora non l'abbiamo più». Ma c'è di peggio. «Peggio ancora, infatti - spiega De Canio - sarebbe andare a giocare ora su un campo, poi su un altro, poi su un altro ancora. Ci verrebbe a mancare anche un minimo di riferimento. Sarebbe tutto più precario. Ma - spara De Canio - il Napoli questo senso della precarietà ce l'ha per tante cose». «Toccata» e fuga, però. Tirato fuori tutto ciò che aveva sulla punta della lingua, infatti, l'allenatore ha giurato a se stesso di non esternare più sulla diatriba tra i consoci proprietari. «Ho già detto. E forse ho pure detto troppo», afferma. Ma quando si parla di mercato, quando gli si dice che questa squadra, già incompleta, già mezza scarsa ed ora anche alluvionata, rischia di perdere qualcuno (Vidigal? Saber? Husain? Troise? Jankulovski?) in questi ultimi giorni di mercato, beh, allora De Canio non può tirarsi indietro. «Avevo chiesto di integrare questa rosa, ma per colpa delle condizioni economiche non floride non s'è potuto fare. Ma se queste condizioni impongono oggi scelte nuove, beh, allora certi risultati non solo non si potranno raggiungere, ma non si potranno neppure chiedere». Preoccupato? «Non più di quanto non lo fossi prima. Certo, speravo di poter lavorare più serenamente, ma sono un allenatore ed il mio obbligo è cercare di fare risultato e basta. Non importa come e non importa dove». Ci risiamo con il campo, dunque. Cinque mesi senza stadio: qual è il rischio più grande che corre questa squadra? «Un ulteriore, forzato allontanamento dei tifosi. E poi - aggiunge - giocare sempre fuori potrebbe avere un peso». Un alibi in più per lei e per la squadra... «Sento dire spesso che "questo" non può essere un alibi, che neppure "quello" può diventarlo e tantomeno "quell'altro ancora". Giusto. Ma bisogna essere anche un po' realisti. Non vorrei, insomma, che dietro questa storia degli alibi impossibili ci fosse poi la voglia di dimenticare o nascondere problemi a volte molto seri».

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