CronacaL'odissea in ospedale di una 50enne cavese operata al seno

L'odissea in ospedale di una 50enne cavese operata al seno

Inserito da (admin), mercoledì 1 aprile 2015 00:00:00

Due operazioni al seno a distanza di un mese, con lunghe attese nella fredda sala d’aspetto e degenza post-operatoria su una barella. La 50enne cavese R.M. racconta la sua odissea, comune a quella di altre donne, all’ospedale “Santa Maria dell’Olmo”.

«Ho subito la prima operazione lo scorso gennaio - racconta - Il chirurgo Luigi Cremone mi aveva spiegato che sarebbe stata asportata parte del tumore al seno e sarebbe stato ridotto il resto con la chemioterapia. Il giorno dell’intervento sono giunta all’ospedale alle 7.30 ed ho aspettato di essere chiamata per andare in sala operatoria. Di quella snervante attesa ricordo poco. Solo che la sala d’aspetto era gelida e che mio figlio, per riscaldarmi, mi ha abbracciato per tutto il tempo».

Dopo circa un’ora R.M. è chiamata da un’infermiera, che la invita a spogliarsi velocemente in una stanzetta, insieme ad altre donne, e ad indossare il camice verde per l’operazione chirurgica. «Se ricordo quel momento ancora rabbrividisco - si commuove la signora - La porta della stanza in cui dovevo svestirmi fu lasciata aperta, con un viavai di uomini e donne che passavano veloci nel corridoio. Non avevo neppure una sedia su cui appoggiare i miei vestiti e sono stata costretta ad inginocchiarmi a terra, nuda, per aprire il trolley e riporvi i miei indumenti intimi. È stato terribile: ho pianto senza controllo. Mi sono sentita umiliata e senza dignità. Per fortuna mi ha aiutato la mamma di una ragazza che doveva operarsi, mentre l’infermiera mi faceva continui cenni di far presto».

Poi l’intervento. «In sala operatoria sono stati gentili ed hanno messo anche la musica per farmi rilassare. Il senso di smarrimento provocato dall’anestesia non mi permette di ricordare molto delle ore che sono seguite all’operazione, solo che la barella sulla quale ero stata appoggiata per mancanza di letti, senza neppure poter avere un cuscino, veniva spostata da una parte all’altra della stanza, per far spazio alle altre operate che si aggiungevano su altre barelle. Gli operatori sanitari sembravano esasperati e sfiniti per la mole di lavoro».

Dopo l’intervento R.M. torna a casa ed attende l’esito dell’esame istologico, che non le porta una buona notizia: la tipologia di neoplasia richiede la mastectomia totale. Il secondo intervento è fissato a febbraio. «Questa volta c’è stato il pre-ricovero - spiega - Ho avuto modo di prepararmi psicologicamente. In una stanza dedicata alle donne operate al seno ho trascorso la seconda e sofferta degenza».

R.M. non può, però, frenare il pianto quando aggiunge: «Quando una donna è privata di un pezzo della sua femminilità, avverte dentro di sé un dolore grande ed un vuoto che è difficile comprendere. Sono brutti momenti in cui ti fanno compagnia i cattivi pensieri su ciò che ti attende dopo l’operazione. Perciò, sarebbe opportuno viverli in silenzio, in privato. A Cava, invece, a Chirurgia in un unico reparto ci sono stanze dedicate alle donne ed altre dedicate agli uomini. Non è raro che questi ultimi si affacciassero nella nostra stanza, anche solo per sbaglio: questo mi ha infastidito moltissimo».

Ma R.M. ammette anche che le professionalità dell’ospedale sono eccellenti. «Il dott. Cremone è stato sempre presente - conclude - anche al di fuori dell’orario di lavoro: veniva per salutarci ed incoraggiarci. Spero che il progetto intrapreso con l’associazione “Frida” per un mega-reparto dedicato alla salute femminile vada in porto, perché è un diritto dell’ammalato vivere con dignità la malattia».

Alfonsina Caputano

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