CronacaEmilio Lambiase tra i protagonisti del Consiglio Mondiale del Progetto José Martì

Emilio Lambiase tra i protagonisti del Consiglio Mondiale del Progetto José Martì

Inserito da (admin), venerdì 20 giugno 2014 00:00:00

L’arch. cavese Emilio Lambiase, Presidente Nazionale ANROS Italia, è stato tra i protagonisti della IX Riunione del Consiglio Mondiale del Progetto José Martì di Solidarietà Internazionale, che si è tenuta dal 2 al 4 giugno scorsi a Vila Real de Sant’Antonio, in Portogallo. Il Progetto - coordinato dall’Ufficio del Programma Martiano di Cuba - ha l’obiettivo di favorire la promozione su scala globale delle idee di Martì e per estensione del meglio del pensiero latinoamericano e caraibico. Ecco l’intervento integrale dell’arch. Emilio Lambiase:

«Distinti Membri del Consiglio Mondiale, Invitati, Partecipanti, buongiorno. Che ci faccio io qui? Il libro in cui Bruce Chatwin raccolse negli ultimi mesi prima della morte, quei pezzi della sua vita in una sola avventura, intesa come un viaggio da fare a piedi. Sempre in viaggio, partire da qualsiasi cosa e andare il più lontano possibile.

Che ci faccio, ora, io qui? Non certamente discorrere di storia o di filosofia a una platea di storici e filosofi. Sarei ridicolo! Vi parlo invece di ciclosofìa! Non a piedi, dunque, ma utilizzando una bici a partire dal mio primo viaggio da ciclòsofo il 26 luglio 2000, un omaggio alla Rivoluzione cubana con partenza alle cinque del mattino dal cortile della caserma del Moncada di Santiago e arrivo dopo 36 ore a quella della Cabana all’Habana.

Inizia così la mia cicloluzione che mi porta in svariati paesi, soprattutto in quelli che gli Usa considerano “stati canaglia”. Con la bici camuffata da “globulo rosso” mi sono addentrato nelle vene del mostro Usa, ho aggirato l’embargo e ho verificato dall’interno tutto il dolore esportato in nome della falsa democrazia e della doppia morale. Tonnellate di rifiuti industriali radioattivi trasformati in armi letali all’uranio impoverito scaricati sulle popolazioni civili come in una grossa discarica.

Da Damasco a Baghad, percorso in bici pochi giorni prima dell’attacco alle torri gemelle, gli Usa rovesciano miriade di queste bombe. I bambini, quelli più fortunati solo perché non sono morti subito, li ho ritrovati nell’ospedale pediatrico della capitale irachena affetti da leucemia come “effetto collaterale” dell’esportata democrazia! Ciclosofando sono giunto a ripercorrere i confini del futuro Stato della Palestina definiti nella risoluzione dell’Onu del 1967, mai applicata da Israele con la connivenza degli Usa.

Dopo l’11 settembre è iniziato il declino inarrestabile dell’impero Usa con due sconfitte militari, quella dell’Afghanistan e dell’Iraq, e una di carattere economico che ci vede ancora attanagliati nella crisi generata dalle bolle speculative della finanza mondiale. Giova ricordare, ed essere onesti, che gli Stati Uniti con una storia di appena 239 anni iniziata nel 1775, ben 216 della propria esistenza li hanno trascorsi in guerre e attacchi, passando per l’annientamento d’intere etnie all’atomica, e persino attaccando il proprio popolo l’11 settembre 2001 per avere mano libera di invadere chiunque sull’intero pianeta, raggiungendo il risultato di mille milioni di vittime e vi risparmio il lungo elenco di popoli e nazioni represse. Gli Stati Uniti in tutto hanno sperimentato solamente 23 anni di Pace.

Stiamo vivendo in questi giorni il dramma dei flussi migratori di disperati che provengono dall’Africa e dal Medio Oriente! Non la tiro per le lunghe... ma qualcuno dovrà pure dire alla Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati in Italia, che su Lampedusa s’interroghi chi provoca i flussi migratori nel nostro pianeta! Penso che la pressione del moribondo neo imperialismo americano (per questo ancora più pericoloso), figlio della crisi irreversibile del sistema capitalistico, sia la causa della tempesta migratoria, conseguenza degli attacchi alle nazioni che possiedono risorse energetiche e materie prime, che se non sono in affari con gli Stati Uniti rientrano a far parte della lista dell’asse del male e prima o poi saranno aggredite.

La Libia di Gheddafi richiamava forza lavoro dai paesi africani più poveri! L’Iraq di Saddam con un primo ministro di fede cristiana era un altro esempio di nazione sovrana aggredita per spartirsi le risorse petrolifere. Pare che la cosiddetta rivoluzione arancione prima e la primavera araba poi sia una strategia americana dettata dalle lobby industriali degli armamenti per alimentare il fuoco dei disordini e il conseguente fuggi-fuggi drammatico.

La nostra epoca è caratterizzata da una nuova lotta di classe: dagli anni ottanta, la lotta che era stata condotta dal basso per migliorare il proprio destino ha ceduto il posto a una lotta condotta dall’alto per recuperare i privilegi, i profitti e soprattutto il potere che erano stati in qualche misura erosi nel trentennio precedente. Questo è il mondo del lavoro nel XXI secolo, così è cambiata la fisionomia delle classi sociali, queste sono le norme e le leggi volute dalla classe dominante per rafforzare la propria posizione e difendere i propri interessi. L’armatura ideologica che sta dietro queste politiche è quella del neoliberalismo. La competitività che tale teoria invoca e i costi che impone ai lavoratori costituisce una delle forme assunte dalla lotta di classe ai giorni nostri. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: aumento delle disuguaglianze, marcata redistribuzione del reddito dal basso verso l’alto, politiche di austerità che minano alla base il modello sociale europeo.

Aggiungo un nostro detto popolare: “la pazienza ha un limite”. Ebbene, quel limite oggi è stato oltrepassato e non basta più la pazienza, e neppure indignarsi. È l’ora di ribellarsi! Il pensiero va ad Ernesto Guevara de la Serna, detto CHE, morto a 39 anni fucilato in una scuola elementare, che è la prova vivente dell’esistenza d’una cosa. Una cosa magnifica, assurda. Una cosa impossibile, e perciò assolutamente necessaria. L’utopia!

Mi permetto di chiedere un ulteriore minuto per fare un appello a favore dell’Ecuador. L’Università Popolare del Buen Vivir descrive una piccola storia di un grande disastro... il più grande disastro ecologico della storia. La lotta del popolo ecuadoriano contro la Chevron è una lotta dei popoli del mondo contro l’impunità criminale della più grande multinazionale del pianeta. Senza dubbio questo caso avrà una grande influenza nella lotta mondiale contro l’impunità delle grandi multinazionali. La Chevron deve pagare! Grazie a tutti».

Il Presidente Nazionale ANROS Italia, Arch. Emilio Lambiase

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